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15 Giugno 2024
Donna, vita e
libertà: la rivoluzione delle donne iraniane.
Filippo Montemurro
tempo di lettura: 5 min
Era il 13
settembre 2022, Mahsa Amini, come una semplice ragazza di 22 anni si trovava
nella capitale con la sua famiglia per compiere degli acquisti quando è stata
arrestata dalla polizia religiosa per aver indossato il tipico velo islamico,
l'hijab, in maniera considerata errata.
La ragazza è
deceduta il 16 settembre in circostanze non chiarissime dopo tre giorni di
coma. Le poche cose chiare e visibili erano le ferite sul volto e alla testa
riconducibili a un pestaggio. Ed è per questo che, dal 16 settembre 2022, in
Iran è in corso quella che dai giornalisti, storici e scrittori iraniani viene
considerata la più grande rivoluzione dal 1979, da quando la monarchia iraniana
divenne la Repubblica islamica sciita guidata dall'ayatollah Ruhollah Khomeyni.
Non sono
bastati più di 20.000 arresti tra i manifestanti, le torture denunciate da
Amnesty International, le impiccagioni, le esecuzioni pubbliche e più di 500
morti durante le proteste, come denunciato dalla ONG Iran Human Rights e gli
avvelenamenti dolosi alle studentesse di Teheran, a dissuadere le migliaia di
persone e di giovani che stanno manifestando contro il regime teocratico
guidato dal Presidente Ebrahim Raisi e dall'ayatollah Khamenei.
Al regime
iraniano non è servito neanche sparare agli occhi e ai genitali dei
manifestanti per "marchiarli", come ha riportato un'inchiesta del
Guardian. Anzi, le ferite agli occhi e ai genitali riportate dai manifestanti,
testimoniate anche da foto e video virali sui social, sono servite a
rinvigorire le proteste e gli animi di coloro che stanno mettendo in atto una
vera e propria rivoluzione.
Lo abbiamo
visto sin dagli inizi, quando attori, cantanti, artisti e addirittura politici
si sono filmati mentre si tagliavano una ciocca di capelli in ricordo di Mahsa
Amini, uccisa proprio perché le si vedeva una ciocca di capelli spuntare
dall'hijab.
Sono numerose
le foto e i video di donne che camminano per la strada senza il velo, se lo
tolgono o, addirittura, lo bruciano in un falò mentre intonano un canto di
libertà.
Le proteste
pacifiche delle manifestanti hanno portato persino il governo a valutare la
modifica della legge, in vigore dal 1983, che obbliga le donne ad indossare
l'hijab come dichiarato da Mohammad Jafar Montazeri, il Procuratore generale
iraniano.
Il Presidente
Raisi, morto in un incidente aereo lo scorso maggio, ultraconservatore, in
passato si è detto aperto alle richieste dei manifestanti sostenendo che, sì le
fondamenta della Repubblica iraniana sono stabilite dalla Costituzione
approvata dopo la rivoluzione del 1979, ma che <<ci sono dei metodi di
attuazione della Costituzione che possono essere flessibili>>.
Anche se le
dichiarazioni a riguardo sono molto vaghe e non è chiaro se e quando
cambieranno le rigide regole sull'abbigliamento femminile, questo è un segnale
di apertura, nonché di timore, da parte del governo di Teheran nei confronti
dei manifestanti.
Questa sembra
essere una protesta più grande di quella del 2009, scatenata dalla morte di
Neda Agha Soltan, una giovane studentessa uccisa dalla polizia con un colpo
d'arma da fuoco mentre partecipava a una delle numerose manifestazioni
antigovernative.
Anche se le
manifestazioni sono riuscite a scuotere Teheran, in quel caso, i Basij, le
formazioni paramilitari iraniane che si occupano di tutelare l'ordine pubblico,
sono riuscite a reprimere le proteste con la forza.
Anche nel 2019
gli iraniani sono scesi nuovamente in piazza. In quell'occasione, manifestavano
contro il carovita. Anche quell'episodio è stato represso con la forza dopo
poco. Da allora l'Iran ha investito su sistemi di controllo digitale e
sicurezza più pervasivi. Una repressione del dissenso resa sempre più aspra a
seguito dell'elezione dell'ex Presidente Raisi avvenuta nel 2021.
Nonostante
questo, il popolo iraniano è tornato in piazza dopo la morte di Mahsa Amini
cogliendo l'occasione anche di far presente a Teheran che, il progressivo
deterioramento economico, l'ingerenza del regime nella vita privata dei
cittadini, una sempre più diffusa corruzione, il nepotismo e la repressione
stessa del dissenso hanno reso gli iraniani un popolo che vuole una
rivoluzione, un cambio di regime.
Durante le
proteste per la morte di Mahsa Amini, sono stati colpiti, per la prima volta, anche
i sistemi informatici della Banca centrale e del Ministero della cultura
islamica.
Le migliaia di
immagini e di video delle proteste che ogni giorno vengono pubblicati su social
come Telegram, Instagram e Twitter ci aiutano a capire la portata storica di
questa protesta. Inoltre, quest'ultime ci mostrano quanto sia necessario che
anche qui in occidente si puntino i riflettori verso un pezzo di mondo, già in
ombra mediaticamente che, spesso volutamente, ignoriamo perché ci spaventa la
complessità che lo avvolge.
Infatti, oltre
ai manifestanti stessi, sono gli hashtag i protagonisti di questa rivoluzione.
Primo tra tutti:
#DonnaVitaeLibertà.
Sì, perché è
"Donna, Vita e Libertà" lo slogan utilizzato in questi anni dagli
iraniani. Una frase che risale al movimento di liberazione curdo di fine XX
secolo, divenuto popolare grazie al politico turco Abdullah Ocalan, fondatore
del Partito dei lavoratori del Kurdistan. Quest'ultimo citava lo slogan nei
suoi scritti anticapitalistici e anti-patriarcali.
"Donna,
vita e libertà", però, pare che non resterà solamente uno slogan. Il suo
destino è quello di diventare il motto di una generazione di iraniani che
pensano al superamento della società patriarcale, amano la vita e credono nella
libertà come valore primario di una società.
Majidreza
Rahnavard, uno dei tanti giovani uccisi dal regime durante queste proteste,
credeva in questi valori. Proprio per questo, pochi momenti prima di essere
impiccato con l'accusa di "Moharebeh" che, in lingua farsi significa
"fare la guerra contro Dio", intervistato dalla Tv di Stato iraniana
ha chiesto a chi lo avrebbe commemorato di non leggere il Corano e di non
piangere sulla sua tomba, bensì che vi fosse un'atmosfera gioiosa con tanto di
musiche allegre al momento della sua morte.
Ed è proprio
quello che migliaia di giovani stanno facendo da due anni per le strade di
Teheran. Tra i canti di liberazione e gli slogan contro il regime che si
sentono per le vie delle città persiane c'è anche la "nostra"
"Bella Ciao", che sta assumendo sempre di più carattere
internazionale dopo che è stata intonata anche dal resiliente popolo ucraino
che in questi anni sta resistendo all'invasione da parte della Russia.
Centinaia di
manifestazioni a supporto del popolo iraniano, anche qui in occidente, hanno
come titolo "Donna, vita e libertà", a rimarcare l'importanza di
questo motto e di questa rivoluzione.
Una rivoluzione
che non sembra un fuoco di paglia è un qualcosa di molto più grande, una
battaglia che scavalca i confini del Medio Oriente e arriva fino a noi.
"Donna, vita e libertà" è destinato ad essere un inno che rende
omaggio a tutte le Donne che hanno pagato con la Vita il prezzo per la Libertà.