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30 Novembre 2024
Il DDL Sicurezza mina lo stato di diritto.
Filippo Montemurro
tempo di lettura: 8 min
Insomma, di episodi in cui il legame tra il fascismo e il partito della Premier (e i suoi alleati) non si sia mai dissolto, ce ne sarebbero veramente tanti.
Ma mi voglio fermare al Ministro Lollobrigida, tra le sue ultime uscite spicca quella sul Servizio Civile agricolo, che consisterebbe nel mandare mille giovani a lavorare nei campi per 500€ al mese al fine di <<servire la patria>>. Un’uscita che, se fosse stata fatta in una Tv in bianco e nero, l’avreste potuta confondere con un servizio televisivo dell’istituto Luce. Ma non è del caporalato legalizzato dal governo di cui vi voglio parlare oggi. Tornando su Lollobrigida, cognato della premier Meloni – anzi, ex cognato, perché la sorella di Meloni, anche lei nella dirigenza di Fratelli d’Italia, ha tenuto a farci sapere che si sono lasciati e quindi adesso non è più suo cogna… vabbè, insomma… tornando a noi, dicevo, Lollobrigida, rispondendo a un giornalista di La7 che gli chiedeva se si definisce “Antifascista”, lui risponde che “Anti” è un concetto che non gli appartiene.
Strano, perché invece pare che il concetto di “anti” sia molto familiare al governo Meloni.
Sin dal suo insediamento, Meloni ha dichiarato di essere “anti” un sacco di cose. “Anti Rave”, soprattutto, come il nome che ha dato al suo primissimo provvedimento, un decreto-legge che rispondeva alla necessità di fermare un Rave Party che si stava tenendo in provincia di Modena durante i giorni dell’insediamento del governo. Uno dei primi provvedimenti in cui hanno avuto la possibilità di mostrare i muscoli davanti agli italiani. E non è stata l’ultima volta in cui il governo Meloni ha deciso di mostrarsi forte ai danni dei più deboli. Impossibile non citare le manganellate che si sono presi gli studenti – alcuni anche minorenni – che lo scorso febbraio erano in piazza a Pisa nei cortei Pro-Palestina (il Questore di Pisa è Sebastiano Salvo, già vicequestore a Genova nel 2001). Adesso, però, si sta compiendo un passo da cui sarà difficile tornare indietro.
Sì, perché il governo vorrebbe approvare un decreto che limiterebbe (eufemismo) la possibilità di protestare. Anche in maniera pacifica. Il decreto 1660, il cosiddetto “Decreto Sicurezza”, come è stato detto dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), <<ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello stato di diritto>>. Il decreto, composto da 38 articoli, va ad inasprire le pene per alcuni reati e ne crea altri, di reati.
Ad esempio, l’articolo 10 prevede l’inasprimento della pena per il reato di “occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”. In sostanza viene punito chi “mediante violenza o minaccia occupa o detiene senza titolo un immobile”. L’inasprimento della pena risiede nel rischiare dai 2 ai 7 anni di carcere piuttosto che dall’1 ai 3, come già previsto dagli articoli 633, 633 bis e 634 del Codice penale. Vale la pena ricordare, peraltro, che l’articolo 633 bis è stato introdotto dallo stesso governo Meloni nel novembre 2022, durante la sua battaglia contro i rave party di cui accennato prima. Questo perché voleva punire chi “organizza o promuove l’invasione arbitraria di terreni edificati”.
Tra i reati introdotti dal DDL Sicurezza c’è anche il reato di “blocco stradale”. L’articolo 14, infatti, introduce nel Codice penale l’illecito di blocco stradale, che finora era solamente un illecito amministrativo. Per ora è prevista una multa da 1000 a 4000 euro. Qualora questo decreto dovesse passare anche al Senato, come è già passato alla Camera, il decreto farebbe rischiare un mese di reclusione e 300 euro di multa, che però aumenterebbero da 6 mesi a 2 anni qualora il fatto sia commesso da più persone riunite. Questo provvedimento è ovviamente pensato per contrastare gli attivisti per il clima che più volte hanno attuato la pratica del blocco stradale come protesta pacifica per porre l’attenzione sui problemi del cambiamento climatico. Insomma, l’obbiettivo è chiaro: punire chi protesta. Qui non c’è alcuna intenzione di preservare il traffico o rendere più scorrevoli le strade. Si tratta solo di voler punire chi, PACIFICAMENTE, protesta per porre l’attenzione su un tema (che oggi è il cambiamento climatico, domani chissà, magari toccherà protestare perché la Sanità è allo sfascio). Che poi, “blocco stradale” vuol dire tutto e non vuol dire niente. Blocco stradale potrebbe anche essere una manifestazione in centro che devia momentaneamente le linee degli autobus. Il reato di “blocco stradale” può essere applicato per le manifestazioni per il clima come per le eventuali manifestazioni per l’istituzione del salario minimo, per dire. Peraltro, le proteste degli attivisti per il clima solitamente durano una decina di minuti, tra il blocco e l’arrivo di polizia che porta ai bordi delle strade i manifestanti.
Pertanto, non è vero, come si dice, che queste proteste “paralizzano le città”. In dieci minuti blocchi una strada, al massimo, non una città. Questo Governo è da quando si è insediato che lavora sulle percezioni e non sulla realtà.
Ma andiamo avanti, perché ad esempio l’articolo 26, prevede da 1 a 8 anni di reclusione (con aggravanti che possono portare fino a 20 anni di reclusione) per chiunque promuova o organizzi una sommossa all’interno del carcere, commettendolo “atti di violenza o minaccia”, tentando di evadere o anche solo “esercitando resistenza passiva all’esecuzione di ordini impartiti”. Insomma, anche qui, oltre ad inasprire le pene per chi manifesta violentemente in carcere – atteggiamento per cui ovviamente sono già previste delle sanzioni disciplinari per i detenuti – si vuole punire anche chi utilizza forme di protesta pacifica per attirare l’attenzione sui problemi sistematici delle carceri italiane. Se passerà il decreto, quindi, sarà punito con ulteriore carcere anche chi metterà in atto scioperi della fame. Lo sciopero della fame come forma di protesta è una pratica assai diffusa nelle carceri italiane. Quest’ultimo e gli atti di autolesionismo sono gli strumenti più utilizzati e – ahimè – più efficaci che hanno i detenuti per chiedere ed ottenere aiuto o, più semplicemente, far valere i propri diritti.
Insomma, è previsto il carcere per chi protesta per i problemi sistematici del carcere.
Un provvedimento che aumenterebbe il tasso di sovraffollamento carcerario (che già si aggira intorno al 130%). Anche qui, come nell’articolo sul blocco stradale, non c’è alcuna attenzione al problema che sta alla radice. Non c’è alcuna attenzione al fatto che le carceri italiane siano completamente fuori controllo e presentano da decenni problemi strutturali che rendono la permanenza dei detenuti in carcere un vero e proprio inferno e, di conseguenza, non adempiano al loro ruolo primario, che è quello di rieducare. Da parte del governo c’è solo la volontà e l’obbiettivo ultimo di punire chi protesta, anche pacificamente. Infatti, già qualcuno lo ha rinominato “il decreto anti-Ghandi”.
Sulla stessa lunghezza d’onda di questo articolo c’è l’articolo successivo, il 27, il quale punta a reprimere le rivolte messe in atto all’interno dei centri di trattamento e di accoglienza per i migranti – che spesso, come le carceri, sono anch’essi in condizioni degradanti e presentano anch’essi problemi strutturali da decenni -. Le pene, in questo caso, vanno dall’1 ai 4 anni di reclusione per chi prende parte a queste proteste. Anche in questo caso con le aggravanti si può arrivare fino a 20 anni, se durante la rivolta qualcuno viene ucciso o subisce lesioni gravi. Non credo serva sottolinearlo ulteriormente, ma anche in questo caso non c’è alcuna intenzione di risolvere il problema strutturale che hanno i centri d’accoglienza in Italia.
Un’altra norma presente all’interno del decreto è quella relativa alle SIM telefoniche. Sì, perché l’articolo 32 prevede che “al cliente, che sia cittadino di Paese fuori dall’Unione europea, sia richiesto anche il documento che attesti il regolare soggiorno in Italia”. Evidentemente una norma che discrimina gli immigrati che quasi ogni giorno arrivano sulle coste italiane a bordo di un barcone – quando ci arrivano – in cerca di un futuro migliore, dal momento che scappano da guerre. Insomma, una norma pensata per essere un vero e proprio sfregio agli immigrati.
Di fatto, queste persone, dopo mesi di “viaggio” in cui hanno affrontato fame, sete, deserti e tempeste marine, quando arrivano in Italia, non hanno alcun diritto ad avvertire i familiari poiché il governo italiano gli rende impossibile comprarsi anche solo una SIM. Mussolini non arrivò a tanto solo perché nel 1940 non c’erano le SIM.
Un altro articolo destinato a far discutere è il 13. L’articolo, infatti, prevede l’inasprimento della pena per il “Daspo urbano”, introdotto nel 2017, inasprito nel 2018 dal Governo Conte I (quello in cui era alleato con Salvini, non quello in cui era alleato di Fratoianni, quello sarebbe stato l’anno dopo). Il Daspo Urbano prevede il divieto di accesso a luoghi ritenuti sensibili, come stazioni, cantieri e piazze che ospitano una protesta, nei confronti di persone potenzialmente pericolose per l’ordine pubblico. Se la norma, così com’è, sembra anche di buon senso, non lo è invece l’ulteriore inasprimento voluto dal Governo del Presidente Giorgia Meloni. Qualora il DDL passasse, il Questore potrebbe disporre il Daspo urbano nei confronti di chi sia stato denunciato oppure condannato in via NON definitiva (e quindi innocente fino a prova contraria) per una serie di reati contro la persona e/o il patrimonio. In un certo senso, sarà a discrezione del Questore di turno decidere a chi sarà permesso manifestare. O perlomeno, questa norma aumenterebbe il raggio d’azione in cui potersi muovere per limitare le manifestazioni. Insomma, una norma liberticida.
Come detto all’inizio, questo Decreto Sicurezza avrà il potere di limitare le manifestazioni e crea un deterrente per chi è intenzionato a scendere in piazza per manifestare poiché potenzialmente rischierebbe il carcere per il solo motivo di essere in strada. E infatti ribadisco ciò che ha detto l’OSCE: <<il DDL ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello stato di diritto>>. Il Governo sta provando a reprimere le proteste pacifiche. Quello che sta accadendo, quindi, è di una gravità inaudita. In questi giorni sono molte le iniziative in piazza per protestare contro questo decreto-legge cosiddetto “sicurezza”.
Che poi, di quale sicurezza parla il Governo Meloni? Se scendo in piazza a manifestare pacificamente e mi ritrovo davanti a una schiera di poliziotti che non vedono l’ora di manganellarmi e di farmi male, io mi sento tutt’altro che sicuro. Inoltre, aperta e chiusa parentesi, mi sento ancora meno sicuro nel sapere che il poliziotto col manganello che ho davanti non ha il numero identificativo sul casco.
Comunque, adesso chiudo dando un consiglio a chi leggerà questo articolo: partecipate alle iniziative volte ad esprimere dissenso verso questo decreto-legge. Fate sentire la vostra voce. Almeno finché sarà possibile farlo.