28 Settembre 2024

Gli inutili ed esorbitanti costi del carcere potremmo evitarli.

Filippo Montemurro

tempo di lettura: 8 min

Foto di Tyler Rutherford su Unsplash
Quando penso al dato della recidiva di chi esce dal carcere dopo aver scontato una pena, il quale si aggira attorno al 70%, non posso fare a meno di pensare a quanto sia inutile questo sistema carcerario. E infatti ne ho parlato su questo blog. Subito dopo penso a quanto ci costa il carcere, quanto costa agli italiani un sistema penitenziario che funziona solo al 30%.

I costi per lo Stato italiano – e quindi per noi - sono esorbitanti e allo stesso tempo sono inutili. Complessivamente, tra giustizia e amministrazione penitenziaria, l’Italia spende ogni anno 11 miliardi di euro.

I soldi che vengono spesi in alcuni casi, come vedremo, non sono abbastanza per venire incontro a necessità, desideri e aspirazioni di un sistema carcerario che sta collassando su sé stesso. Come vedremo, talvolta il sistema penitenziario ha necessità strutturali che sono funzionali al suo ruolo primario, ovvero quello di rieducare i detenuti ed aiutarli nel reinserimento all’interno della società. Spesso, però, gli stanziamenti non sono necessari per venire incontro a queste necessità.

I dati che riporto successivamente provengono dalla previsione di bilancio per il biennio 2024/2026 varata dal Ministero dell’Economia e delle finanze (MEF) e ci serviranno per capire meglio cosa significa spendere 11 miliardi di euro all’anno per il sistema penitenziario.

Nelle previsioni di bilancio del MEF possiamo notare che ci sono stati degli incrementi di spesa in determinati settori, mentre, in altri, sono minori i fondi destinati. Lo stanziamento di fondi maggiore è quello inerente al personale amministrativo e ai magistrati, che è aumentato dell’8,5% rispetto al 2023. Il taglio di fondi più importante, invece, è quello dedicato alla realizzazione di nuove infrastrutture, il potenziamento e la ristrutturazione nell’ambito dell’edilizia carceraria. Un taglio di quasi l’11%. Questo dato è singolare, poiché la narrazione di cui è pregna la propaganda politica è che vorrebbe come soluzione, per ridurre il sovraffollamento delle carceri, la costruzione di altre carceri, affinché si possano spostare i carcerati da un carcere ad un altro. Come se fosse il gioco in cui l’acqua non deve uscire dal bicchiere e quindi si trasborda in un altro bicchiere.

Il taglio dei fondi per la costruzione di nuove infrastrutture rivela l’ipocrisia delle affermazioni propagandistiche dei politici che, quando parlano di carcere, evidentemente, non sanno di cosa parlano.

Un altro taglio importante, il quale si aggira intorno al -8,6%, è inerente all’erogazione dei servizi penitenziari, ovvero la portineria, la vigilanza e l’osservazione dei detenuti, controllo dei pacchi ecc...

Questa riduzione è uno dei motivi per cui in carcere non solo i detenuti soffrono, bensì anche il personale penitenziario, il quale si vede tagliati i fondi per poter svolgere il proprio lavoro in maniera consona.

Una riduzione di spesa di quasi 10 milioni da parte del governo arriva dai fondi destinati alle utenze, alla riparazione di mobili e arredi e al fondamentale funzionamento del servizio sanitario e farmaceutico, nonché al mantenimento dei detenuti tossicodipendenti presso comunità terapeutiche. Non solo, nel documento del MEF è presente anche un taglio di 6 milioni di euro alla voce inerente alle spese per la fornitura del vitto alle persone detenute.

Tutti questi tagli di fondi sono un vero scandalo, ma niente in confronto al taglio di 2 milioni di euro riguardante la spesa destinata agli sgravi fiscali e all’agevolazione alle imprese che assumono detenuti.

Questi fondi, va da sé, sono importantissimi per una corretta applicazione dell’articolo 27 della Costituzione italiana, il quale esplicita il diritto da parte dei detenuti a un corretto reintegro nella società anche grazie al lavoro. Lavoro che viene meno se lo Stato non permette alle imprese di poter assumere detenuti diminuendo i costi.

Non tutto però viene tagliato, anzi, un importante aumento di fondi è stato destinato alla costruzione di laboratori all’interno degli istituti penitenziari affinché i detenuti possano apprendere un mestiere di cui poter usufruire una volta usciti.

Uno stanziamento di fondi importantissimo è quello inerente agli errori processuali. Stanziamento voluto dalla legge 89/2001, ovvero la legge Pinto, la quale garantisce, appunto, una riparazione per il danno patrimoniale subìto per l’irragionevole durata di un processo.

Le voci fondamentali da guardare sono le seguenti:

Spese obbligatorie di giudizio nei casi di riparazione per ingiusta detenzione ed errore giudiziario.

Somme da destinare a titolo di equa riparazione e risarcimenti per ingiusta detenzione nei casi di errori giudiziari.

Somme da destinare a titolo di equa riparazione per violazione del termine di irragionevole durata del processo e per il mancato rispetto della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ivi comprese le spese legali e gli interessi.

Per quanto riguarda queste tre voci, il MEF ha stanziato rispettivamente 800.000, 50 milioni e 70 milioni di euro.

Una volta visti quali fondi sono stati rifinanziati e quali, invece, sono stati tagliati, è interessante scoprire che, come accennato inizialmente, i fondi destinati alla giustizia e all’amministrazione penitenziaria sono 11 miliardi.

Nel documento del MEF si legge che la quota destinata al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria è pari a 3,3 miliardi. Come accennato prima, rispetto all’anno scorso sono stati aggiunti fondi pari a 20 milioni di euro.

Se si guarda alla spesa giornaliera per ogni detenuto, invece, vediamo una netta riduzione rispetto all’anno scorso.

Nel 2023, infatti, per ogni detenuto, di media, lo Stato spendeva 160€ mentre nel 2024 sono stati spesi 150€ per ogni detenuto. Questo dato è diminuito anche a causa del sovraffollamento di cui ho già parlato ampiamente su questo blog. I dati in questione, però, in questo caso è bene ricordarli, le unità presenti in carcere al 30 aprile 2023 erano 56.574 contro le 61.049 unità presenti al 30 aprile di quest’anno.

Continuando con l’analisi dei dati è possibile vedere che il 62,6% dei fondi è destinata alla Polizia Penitenziaria. Per quanto riguarda le spese per l’organizzazione, il trattamento penitenziario e le politiche di reinserimento delle persone sottoposte a misura giudiziaria, la quota, in termini percentuali è del 9,5%.

Inoltre, possiamo vedere come le spese per i servizi tecnici e logistici connessi alla custodia della persona detenuta sono l’8,9% dei fondi stanziati. Infine, le spese per il personale amministrativo e per i magistrati rappresentano l’8,4% dello stanziamento dei fondi.

Come abbiamo visto, il carcere agli Italiani costa un sacco di soldi ma, a quanto pare, visti i risultati, sono in parte inutili. I numerosi suicidi, gli ancora più numerosi tentati suicidi e il tasso di recidiva così alto, ci mostrano che, nonostante i soldi spesi, lo Stato non riesca a far adempiere al carcere il suo ruolo primario, ovvero quello di sistema volto a rieducare e reintegrare i condannati all’interno della società. Quello che verrebbe da chiedersi, quindi, è se ci sia un’alternativa che permetta ai condannati di essere reintegrati e rieducati ma allo stesso tempo permetta agli italiani di risparmiare qualche soldo e, perché no, magari diminuire il tempo necessario a rieducare e reintegrare il condannato.

Ebbene, un’alternativa ci sarebbe e la avrebbe studiata la dottoressa Francesca Pesce, Docente alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento.

Per la precisione, lo studio della Dottoressa si riferisce al recupero, alla rieducazione e al reintegro dei detenuti tossicodipendenti, ma tutto ciò potrebbe benissimo essere applicato ai detenuti che non hanno alcun problema di tossicodipendenza.

Questo studio è stato realizzato nella Provincia Autonoma di Trento. L’obbiettivo principale dello studio è quello di raccogliere dati sui soggetti condannati in via definitiva e con diagnosi di tossicodipendenza, per capire quali possono essere le differenze tra le misure alternative alla detenzione e la detenzione stessa. Lo studio vuole capire quali sono i risultati da un punto di vista di recidiva della tossicomanica, ovvero quanto il soggetto riesce a stare senza tornare ad abusare di sostanze stupefacenti. Inoltre, lo studio si concentra sulla recidiva criminale, ovvero se il soggetto torni a delinquere o meno. Infine, l’ultimo dato preso in considerazione – ma non certo per importanza – è il dato economico. Ed è il primo dato economico, infatti, ad evidenziare come un giorno di detenzione costi esattamente il doppio di un giorno in affidamento in comunità. Il tasso di recidiva tossicomanica, in seguito alla detenzione, è più alto rispetto a quello riscontrato successivamente all’affidamento in prova presso le comunità terapeutiche. I dati, per la precisione, parlano dell’87% di recidiva tossicomanica in seguito alla detenzione in carcere, mentre del 74% post misura alternativa. Per quanto riguarda la recidiva criminale, sono nettamente minori in seguito a una misura alternativa al carcere. Anche se il dato è inerente alla sola provincia autonoma di Trento, i dati rispecchiano quelli che sono i dati nazionali perché si parla di circa il 70% di recidiva nei casi in cui i detenuti hanno scontato la loro pena in carcere.

Per quanto riguarda, invece, chi ha potuto usufruire di una misura alternativa, è tornato a delinquere nel 19% dei casi. Il dato più interessante, però, è il periodo in cui non è stato fatto abuso di sostanze stupefacenti.

Il dato è interessante perché post detenzione e post misura alternativa, ovvero dopo aver scontato la pena, il soggetto potenzialmente non rappresenta un pericolo per sé stesso e per gli altri.

Questo si traduce in un risparmio dei costi sanitari, sociali, giudiziari ecc…

Ora, sebbene il periodo di sobrietà post scarcerazione e post alternativa sia quasi identico in termini di valori numerici, il risultato comunque è stato ottenuto di media con ben 826 giorni di detenzione a 150 euro al giorno.

Mentre, in affidamento ad una comunità terapeutica ci son voluti di media 410 giorni, ovvero quasi la metà del tempo, a 75 euro al giorno, ovvero la metà dei costi. Un vero risparmio di soldi per lo Stato e un vero risparmio di tempo per il condannato.

Insomma, questo studio ha dimostrato che le alternative al carcere esistono, spesso sono più efficaci, costano meno e fanno perdere meno tempo ai detenuti e alla giustizia. Condannare le persone a scontare le pene con misure alternative, come l’affidamento a comunità o la detenzione domiciliare, permetterebbe anche di risolvere l’annoso problema del sovraffollamento carcerario di cui abbiamo accennato sopra. Le alternative, ripeto, ci sono, basta volerle adottare.

Basterebbe capire che per scontare la pena dopo un reato non serve per forza buttare una persona per 20 ore al giorno in un inutile, dannoso e costoso carcere.


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Filippo Montemurro

Ciao! Mi chiamo Filippo e sono un blogger. Parlo di politica interna con un occhio di riguardo per le condizioni delle carceri in Italia.

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