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7 Dicembre 2024
Il ragazzo dai pantaloni rosa.
Francesca Dondoli
tempo di lettura: 4 min
Le parole sono come dei vasi di fiori che cadono dai balconi. Se li schivi, sei fortunato. Lo schivi e vai avanti sulla tua strada, ma se invece sei un po' più lento, ti centrano in pieno e ti uccidono.
Questo dice dall'aldilà la voce fuori campo di Andrea Spezzacatena nel film “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, da poco uscito nelle sale, che racconta la sua storia. <<Oggi avrei 27 anni>>. Sì, perché Andrea nel 2012 si è tolto la vita a 15 anni appena compiuti. O meglio: la vita gliel'ha tolta il bullismo e cyberbullismo omofobico di cui è stato vittima tenendosi tutto dentro. Tanto che la madre, Teresa Manes (interpretata da una bravissima Claudia Pandolfi), ha compreso il motivo del suo atto apparentemente inspiegabile dopo essere entrata nel suo account Facebook e aver scoperto l'esistenza di una pagina, chiamata “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, in cui Andrea riceveva insulti omofobi per via della sua presunta omosessualità.
Che Andrea fosse o non fosse davvero gay, ovviamente, ha poca importanza (anche perché alla sua età magari neanche lui lo sapeva). Ciò che è importante, invece, è che la sua storia è la dimostrazione di come il genere possa diventare (e spesso diventi) una gabbia. Mi spiego meglio.
Come dicevo nel mio ultimo articolo, la sociologia ci insegna che il concetto di 'genere' fa riferimento all'insieme degli atteggiamenti e dei comportamenti che una cultura considera appropriati per gli uomini e per le donne, dando vita a differenze e disuguaglianze a partire da questi costrutti sociali. Costrutti sociali che, in quanto tali, non derivano dalla biologia ma che, piuttosto, vengono appresi da ciascuna persona attraverso il processo di socializzazione. Un processo che inizia dalla nascita e che si consolida soprattutto durante l’infanzia e l’adolescenza attraverso le cosiddette 'agenzie di socializzazione', cioè quelle istituzioni che svolgono un ruolo fondamentale nella formazione di ogni persona: la famiglia, il gruppo dei pari, la scuola (per citarne solo alcune). Ed è proprio a causa del suo gruppo di pari e all'interno dell'ambiente scolastico, quello che più di tutti, in virtù del suolo ruolo educativo, dovrebbe educare al rispetto, che è iniziato l'incubo di Andrea.
Dal momento che il genere, come dicevo, è una realtà sociale, l'essere identificati come maschi o femmine deriva dal grado di adesione alle aspettative sociali, dalla capacità di conformarsi ad esse, di incorporarle, cioè di andare incontro alle norme e alle gerarchie sociali per mezzo dei nostri corpi, di far proprie attitudini, propensioni, abitudini corporee, schemi percettivi, qualità morali, di creare attraverso essi la propria identità mediante un investimento costante che conduce all'appropriazione dei comportamenti che rendono identificabili la femminilità e la mascolinità.
Nella vita di tutti i giorni etichettiamo senza esitazione le persone come bambino o bambina, ragazzo o ragazza, uomo o donna, diamo per scontato che siano immediatamente identificabili non solo nel loro aspetto esteriore e nei tratti del corpo, ma anche nei gesti, nei ruoli, nei gusti. Quasi mai ci fermiamo a riflettere su questa operazione mettendone in discussione i presupposti e le conseguenze.
Il genere, quindi, struttura la percezione e l’organizzazione dei rapporti tra uomini e donne. Rapporti caratterizzati da un'asimmetria che si concretizza, da una parte, in un'iniqua distribuzione delle risorse materiali e simboliche a favore degli uomini, ma anche, dall’altra, nel sanzionamento delle espressioni del genere che si discostano dalle rappresentazioni e dai ruoli socialmente accettati come maschili o femminili. Il genere, in questo senso, costituisce un sistema normativo basato su una bicategorizzazione gerarchica tra i generi che condanna le deviazioni dai valori e dalle rappresentazioni egemoniche a essi collegati, quali, per esempio, l’esternazione di una mascolinità effemminata o, viceversa, di una femminilità mascolina oppure l’incertezza di genere che può essere manifestata da un corpo trans o intersessuale. Il regime della gerarchia tra i generi, infatti, opera in convergenza con quello dell’eterosessualità obbligatoria e dell’eteronormatività (la convinzione che l'eterosessualità sia l'unico orientamento sessuale valido e che solo le relazioni tra uomini e donne siano la normalità).
Al vertice della gerarchia dei corpi si posiziona quella che la sociologa austrialana Raewyn Connell ha definito 'mascolinità egemonica', cioè il maschio bianco, eterosessuale, normodotato e di classe media che si percepisce come soggetto neutro e universale.
Così un'azione così semplice come indossare dei pantaloni rosa diventa una deviazione da ciò che la società si aspetta da te. Se sei maschio. Così come manifestare una personalità dolce, gentile, sensibile (tutte qualità stereotipicamente associate al genere femminile). La lentezza di Andrea era questa.
Per i suoi aguzzini Andrea non era abbastanza 'maschio' e doveva essere punito per questo.
Ok, capisco che detta così possa sembrare che la società sia una sorta di entità superiore che dall'alto ci dice cosa fare e cosa non fare. Ma c'è un piccolo particolare: la società siamo noi. Si può cambiare quindi. Basta volerlo.