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30 Agosto 2025
La
pena di morte è abolita e deve restarlo. Parte 2.
Filippo Montemurro
tempo di lettura: 5 min
Come accennavo, i casi sono in aumento. Questo perché il
carcere è un luogo altamente tossico e patogeno in cui è facile sviluppare
patologie, non solo psichiche, che possano portare un soggetto a non essere più
compatibile col regime carcerario. Gli spazi stretti, spesso condivisi con più
persone di quante ce ne possano stare, sono uno dei fattori che possono portare
allo sviluppo di malattie. La scarsità di aerazione all’interno delle celle,
l’impossibilità di praticare un minimo di sport, la presenza di muffa e cimici
sui muri delle celle e altre situazioni sgradevoli, possono realmente portare
un soggetto a sviluppare delle patologie nel migliore dei casi. Nel peggiore
dei casi, invece, il detenuto a tutto questo preferisce la morte. In tutto
questo, ovviamente, tra i detenuti vi sono anche tossicodipendenti, i quali non
sempre riescono ad accedere alle terapie necessarie per la loro problematica.
Il che fa sì che si acuisca il loro malessere, che spesso non viene trattato in
maniera idonea.
Insomma, il carcere in Italia è pieno di problemi
strutturali che ledono la dignità dei detenuti (come sentenziato dalla Corte
Europea dei diritti dell’uomo più di dieci anni fa, per altro). Questi problemi
interni alle strutture non sono adeguatamente affrontati dalle istituzioni che
anzi, stanno contribuendo a peggiorare una situazione già critica (per usare un
eufemismo) che porta i detenuti, infine, a preferire la morte. Ne è un esempio
il Decreto Caivano, di cui ho già ampiamente parlato su questo blog. Questo
decreto sta contribuendo non solo ad aumentare le pene e gli anni di carcere da
scontare per i reati minori, ma sta contribuendo al sovraffollamento non solo
delle carceri per gli adulti ma anche quelli minorili. Sì, perché, se prima
l’Italia era tra i paesi più virtuosi dal punto di vista di trattamento dei
detenuti minorenni o nei giovani adulti (negli IPM è possibile rimanere fino ai
25 anni), adesso il governo Meloni sta contribuendo ad invertire la rotta.
Sempre più minori finiscono in carcere per reati che potrebbero prevedere
soluzioni alternative come le comunità o la detenzione domiciliare. Inoltre,
come accennato prima, aumentano le pene e gli anni da scontare in carcere.
Questo fa sì che sia sempre più difficile per i ragazzi accedere a misure
alternative o alla semi libertà. La semilibertà permette anche di lavorare
fuori dal carcere.
Il lavoro e le pene alternative per i detenuti sono
fondamentali e utili. I dati del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del
Lavoro) dimostrano come la recidiva nel commettere reati cali drasticamente se
il detenuto ha una pena alternativa al carcere. Tra i detenuti che scontano la
loro pena in carcere, sono il 70% quelli che una volta usciti tornano a
delinquere. Meno del 20%, invece, quelli che non delinquono più una volta
usciti se hanno fatto un percorso alternativo, magari integrando anche un percorso
lavorativo.
Questo non contribuisce solo ad un rapporto più sano tra il
detenuto e il sistema penale, ma contribuisce anche alla sicurezza di chi sta
fuori dal carcere. Un sistema più sano deve interessare a tutti, non solo a chi
si occupa di carcere come me. Se chi è stato detenuto nel 70% dei casi torna a
delinquere una volta fuori, vuol dire che qualcosa non ha funzionato. E se
qualcosa non ha funzionato in un sistema che per mantenerlo costa undici
miliardi di euro all’anno (anche di questo ho parlato sul blog), qualcosa va
fatto. E va detto. Aumentare le pene e i reati – ultimo caso è stato
l’invenzione del reato di femminicidio - serve solo ai politici (Ministro della
Giustizia Nordio, Vicepremier Salvini e Presidente Meloni su tutti) a riempirsi
la bocca di parole come “sicurezza” e “certezza della pena”.
La verità è un’altra, e la dicono i dati, non è una mia
opinione, non è una mia teoria o una mia congettura.
La verità è che non serve a niente. Anzi, peggiora le cose
poiché le persone che commettono reati non diminuiscono. Anzi, aumentano,
poiché aumentano i reati. E questo comporta il sovraffollamento delle carceri,
l’ingolfamento del sistema giudiziario e l’aumento delle persone innocenti
(fino a prova contraria) costrette a rimanere in carcere in attesa di un
giudizio che spesso arriva dopo anni.
Il fatto che sia molto più semplice disporre della custodia
cautelare in carcere comporta che poi in carcere vada chi ha commesso reati di
entità minore, come il furto o la resistenza a pubblico ufficiale. Reati per
cui si potrebbe far scontare la custodia cautelare (ma anche tutta la pena) nel
domicilio di chi ha commesso il reato o in una struttura alternativa al
carcere.
Mettere in una cella chiusa ventidue ore al giorno persone
di cui non ci si è accertato se hanno problemi psichici o problemi di
tossicodipendenza fa sì che quest’ultimi possano soffrire all’interno del
carcere e che quest’ultimo venga meno alla sua funzione primaria: ovvero quella
rieducativa del condannato. Anzi, il più delle volte fa sì che il suddetto
detenuto esca incattivito da un sistema che non gli ha fornito i mezzi per
cambiare vita e che non gli ha insegnato niente, se non la disumanità per via delle
condizioni in cui è stato ridotto per gli anni in cui è stato recluso. Questo
ovviamente vale per chi dal carcere ne esce.
Sì, perché, come abbiamo visto prima, il carcere spesso fa
sì che tu da lì non esca mai. E non mi riferisco all’ergastolo. Mi riferisco
all’incipit iniziale. In Italia, di fatto, c’è il rischio che la pena si
traduca in morte. Non si può chiamare in altri modi quello a cui ti condanna un
sistema che, a causa dei suoi problemi strutturali irrisolti, porta al suicidio
i detenuti. E non importa se non è stato un giudice a pronunciare la sentenza.
Questo perché il sistema che dovrebbe fornirtele, queste
alternative, non te le fornisce.
Per concludere, quindi, direi che in Italia le persone che
commettono reati hanno due condanne: una esplicita ed una implicita. Una,
magari di pochi anni, per il reato che hanno commesso, e l’altra, con buona
pace di Pietro Leopoldo di Lorena, è come una condanna a morte.
Dove chiedere aiuto: se sei in una situazione di emergenza,
chiama il numero 112. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi,
puoi chiamare il Telefono Amico allo 02 2327 2327 oppure via internet da qui
(www.telefonoamico.it), tutti i giorni dalle 10 alle 24. Puoi anche chiamare
l’Associazione Samaritans al numero 06 77208977, tutti i giorni dalle 13 alle
22.