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18 Gennaio 2025
Esclusiva commerciale e il rischio di squilibrio contrattuale.
Irene Procopio
tempo di lettura: 3 min
Prescindendo dalla tipologia di contratto e dal suo oggetto, il diritto commerciale di oggi si focalizza sull’equilibrio contrattuale tra le parti come criterio di valutazione del contratto.
Per equilibrio tra le parti si intende un legame di corrispettività e reciprocità che deve intercorrere tra le prestazioni oggetto del contratto in tutte le sue fasi e tra le condizioni contrattuali.
Detta così sembrerebbe una condizione facile da raggiungere, quasi a voler promuovere un’equità tra le parti. Il problema, però, si pone rispetto alle prassi commerciali che, nonostante le recenti tendenze alle collaborazioni win-win e alla trasparenza, continuano a favorire contratti e accordi sproporzionati tanto in termini prestazionali che in termini economici. Molto spesso questo avviene a causa di lacune normative, altre volte per opportunismo di una delle due parti.
Quel che fa gioco in questi casi è, di solito, la forza contrattuale. Una parte, più forte, propone le condizioni contrattuali e l’altra, meno forte, accetta. Le dinamiche commerciali di oggi, infatti, si basano principalmente su una logica economica, occupandosi raramente di quella normativa-contrattuale. L’importante è il prezzo!
Volendo, però, applicare quello che dovrebbe essere l’approccio moderno alla contrattualistica, i contratti andrebbero redatti prima di tutto in un’ottica di equilibrio tra le parti.
Rispetto al tema dell’equilibrio contrattuale, l’esclusiva commerciale si scontra con specifici elementi che concorrono a creare e mantenere la condizione di equilibrio:
il prezzo, perché trattandosi implicitamente di una privativa comporta anche una rinuncia di tipo economico che quindi deve essere pagata da colui che la pretende;
la non concorrenza, perché esclusivamente riferita ai soli contraenti con i quali è concordata
i diritti connessi alle attività che ne fanno oggetto, come la proprietà intellettuale, il marchio e l’immagine aziendale.
L’equilibrio contrattuale deve essere considerato, appunto, in un duplice senso: da un lato, quello economico strettamente connesso alle prestazioni corrispettive; dall’altro quello giuridico dipendente dalle clausole inserite nel contratto e dal contratto nel suo insieme.
L’ipotesi classica è la seguente: un’impresa A propone ad un cliente o collaboratore B di accettare una clausola di esclusiva standard, quindi, divieto di concorrenza, massimo 10 anni dalla stipula del contratto e prezzo bloccato. Il cliente B, trovandosi di fronte ad una prassi commerciale ormai nota non sente alcun bisogno di eccepire nulla dal punto di vista normativo e si focalizza sulla convenienza dell’affare, da un lato per ignoranza magari e, dall’altro, per fretta di concludere.
Quale sarà, secondo voi, il risultato?
Possiamo facilmente immaginare l’ipotesi di un contratto molto rigido e prolisso, in cui sostanzialmente l’impresa A si divincola da qualunque cosa e rende chiaro che, qualora dovesse andar storto qualcosa, ne risponderà il cliente B. Niente di più scorretto.
Ma ipotizziamo che il tutto proceda liscio e che non vi siano intoppi, in ogni caso il cliente B avrà implicitamente rinunciato a tutte le condizioni favorevoli che, oltre al prezzo, la normativa potrebbe favorirgli. Un esempio: la manleva di responsabilità e la proprietà intellettuale su quanto ha ceduto all’impresa A.
Aspetti che, mi rendo conto, in un’ottica commerciale rallentano un po’ la trattativa e che nel breve termine possono sembrare di poco conto; ma nel lungo termine, una trattativa gestita anche dal punto di vista giuridico consentirebbe al cliente B di:
a. poter aumentare il prezzo come è giusto che sia;
b. divincolarsi con più facilità da una possibile collaborazione infruttuosa o aprirsi ad altri contraenti;
c. proteggere il proprio know-how e i diritti ad esso connessi per sfruttarli magari in un ambito di mercato diverso.
L’esclusiva commerciale nasce e favorisce un contesto di mercato che oggi non è più attuale, perché, infatti, al tempo in cui è nata si occupava di mitigare un rischio contrattuale che oggi possiamo minimizzare in mille e un modo, ovvero la concorrenza sleale.
Ipotizziamo il caso che un’impresa A collabori con un’impresa B su uno o più affari e che decidano concordemente di farlo senza una clausola di esclusiva commerciale e che, inoltre, scelgano uno stile di redazione contrattuale snello ed incentrato sugli aspetti più moderni dell’attività d’impresa come la concorrenza leale, la riservatezza, la proprietà intellettuale, il marchio e l’immagine aziendale. Succede, però, che uno dei due fa il furbo, allora l’altro si rivolge ad un avvocato.