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19 Giugno 2021
Esclusiva
commerciale e produttività: attenzione alla strategia. IL CASO NIKE.
Irene Procopio
tempo di lettura: 6 min
Quando si
parla di esclusiva commerciale gli elementi base, per comprenderne il senso e
la portata, sono tre: l’attività esclusiva, il territorio e i vantaggi, ammesso
che ce ne siano. Bisogna prestare molta attenzione all’impegno e alle
limitazioni che questa comporta.
A seconda del contesto specifico in cui l’esclusiva
verrà applicata, questi tre elementi si svilupperanno e si concretizzeranno in
azioni specifiche da cui nascono responsabilità contrattuali.
Al titolare
di esclusiva commerciale è concesso il godimento di un diritto da cui ogni
altro è escluso. Nella disciplina contrattuale il diritto di esclusiva è
sancito tramite un’apposita clausola, con cui le parti si accordano affinché una
di loro, o entrambe, siano tenute ad eseguire la propria prestazione
esclusivamente nei confronti dell'altra. Riferimenti normativi espliciti sono
riscontrabili negli artt.1568 c.c.nel contratto di somministrazione e1742 c.c.nel contratto di agenzia.
Il suo uso
più diffuso è in ambito commerciale, infatti la clausola di esclusiva è spesso
utilizzata nei contratti in tema di distribuzione dei prodotti e, nei casi più
strutturati, di rete distributiva.
Gli aspetti che
ci preme segnalare riguardano da un lato, l’importanza dello schema contrattuale
e dall’altro, le possibili conseguenze per la produttività dell’impresa. A seconda della tipologia di prodotti e servizi,
dell’attività e del suo sviluppo territoriale, l’impresa svilupperà una data di
strategia di vendita e di ingaggio dei clienti.
Può darsi
che, per necessità legate ad esempio ad obiettivi di espansione o ad esigenze
di diversificazione, la strategia possa cambiare e coinvolgere altri attori all’interno
del processo di vendita, garantendo quella serie di protezioni per l’impresa
rispetto al venditore/distributore attraverso la clausola di esclusiva.
Un altro esempio
è la vendita a clienti/impresa ad alto valore che, con una strutturata politica
di governance dei rapporti con fornitori e clienti, possono imporre clausole a
garanzia della loro esclusiva commerciale. Non v’è dubbio che clienti di questa
portata siano per l’impresa un importante fattore di successo per diverse ragioni,
tra cui: la loro capacità di produzione o di spesa, la loro affidabilità e le
opportunità di sviluppo a lungo termine, per non parlare dei vantaggi in termini
di immagine e promozione.
Tutto molto
bello e stimolante, arriva però il momento di rispondere alle esigenze pratiche
del caso concreto.
Partiamo dal
secondo esempio, in cui il nostro cliente ci chiede di produrre un prodotto in
esclusiva, che sarà poi da lui ri-venduto al cliente finale. Il team commerciale
dell’impresa, quindi, si occupa di gestire la commessa del cliente e di
predisporre la documentazione necessaria per la negoziazione. Il cliente, però,
presenta la sua proposta richiedendo modifiche e revisioni del contratto,
ovvero clausole tipiche di un contratto strutturato in cui sono sancite alcune
limitazioni su quantità, territorio ed eventuale uso del marchio per fini
pubblicitari. Nella maggior parte dei casi il cliente non incontra ostacoli, perché
il team commerciale dell’impresa avrà favorito la chiusura dell’affare e quindi
accettato le modifiche.
Date le
metriche del caso, molto diffuso nella prassi commerciale italiana, lo stesso
team non impiegherà molto tempo per individuare il problema creato attraverso l’eccessiva
personalizzazione dei contratti in favore di clienti strutturati, ovvero un processo
di vendita caotico e schemi contrattuali non allineati tra loro.
Il processo
di vendita dell’impresa rappresenta un elemento fondamentale dell’attività che,
se gestito con troppo favore per il cliente, rischia di minare la struttura
interna dell’azienda e sbilanciare gli investimenti.
L’elemento fondamentale,
che si intreccia con i contratti commerciali, è il percorso d’acquisto del
cliente, ovvero il buying journey. Se siamo in presenza di un
cliente/impresa ad alto valore, come nel nostro esempio, che desidera
acquistare i prodotti al fine di rivenderli, stiamo affrontando una vendita di tipo
B2B-business to business.
L’impresa A
vende, l’impresa B compra da A e ri-vende a C. Le dinamiche da tenere sotto
controllo e le responsabilità contrattuali conseguenti a questo tipo di
vendita, sono molto diverse da una classica vendita. L’impresa favorisce le
vendite B2B per il vantaggio che può trarne rispetto alla produttività. In questo
caso, infatti, il cliente ha la capacità di garantire un approvvigionamento continuo
e stabile e quindi per l’impresa rappresenta un’occasione di pianificare e
strutturare la produzione rispetto ad un guadagno certo e stabile.
Se lo schema
contrattuale non è chiaro, se le parti non affrontano il rischio alle medesime
condizioni o se interviene una causa esterna che destabilizza i rapporti, il contratto
potrebbe trasformarsi in un investimento in macchinari, risorse e materie prime
che si è rivelato sbagliato.
Un dato non da
poco, che per molti sarà anche ovvio. Sta di fatto, però, che, nonostante la diffusione
e i grandi successi generati attraverso attività di vendite e marketing strategico,
molte imprese non effettuano questo genere di analisi se non finalizzandole
alla chiusura dell’affare e non anche ai processi interni all’azienda.
Mi spiego
meglio.
Le strategie
commerciali e di marketing se non ben direzionate influiscono negativamente sulla struttura
legale e contrattuale dell’impresa. In altre parole, se l’investimento richiesto
per rivolgersi ad un target è più alto del profitto che posso trarre e i rischi
nascosti sono tanti, è meglio fare un passo indietro.
È possibile
allineare le strategie contrattuali con le strategie di marketing? Come?
Sì! Con l’aiuto
di un legale esperto in diritto commerciale e d’impresa che sappia armonizzare l’intero
processo agli obiettivi, sia in termini di vendite che di marketing. I costi
e i rischi nascosti, i mancati guadagni e la negoziazione sono i punti di
forza dell’attività legale.
L’altro
esempio di incidenza della clausola di esclusiva sullo schema contrattuale riguarda
un’impresa che, per esigenze di espansione o diversificazione, assume o
collabora con venditori esterni per distribuire prodotti o servizi in un altro
territorio.
In questo
caso, la faccenda è meno complicata ma comunque rischiosa. L’impresa con
obiettivi di espansione e diversificazione avrà sicuramente effettuato un’analisi
costi-benefici e messo in piedi una strategia di distribuzione al fine di
ottimizzare i guadagni dell’investimento. La situazione, però, potrebbe
complicarsi nell’ipotesi in cui il venditore o i venditori in questione
facciano i furbi.
Cosa comporta
la violazione di una clausola di esclusiva? A quale garanzia posso appellarmi?
La
violazione della clausola di esclusiva si configura come inadempimento
contrattuale che, a seconda della sua gravità e dello schema contrattuale
utilizzato, potrà portare alla risoluzione del contratto e a un risarcimento
del danno, se dovuto.
Per approfondire
gli aspetti pratico-legali della violazione di una clausola di esclusiva è, a
mio avviso, essenziale rivolgere l’attenzione ai leader del nostro mercato o
del mercato in generale.
L’aspetto
pratico è da cogliere nelle loro strategie e quello legale nei loro successi
giudiziari.
Il caso Nike.
Phil Knight
e, il suo allenatore di atletica ai tempi del college, Bill Bowerman sono i fondatori
della Nike Public Company, leader nel mercato di articoli sportivi. Prima del
loro grande successo, i due atleti, con la Blue Ribbon Sports, distribuivano le
scarpe prodotte in Giappone dalla Onitsuka Tiger (oggi conosciuta come Asics).
Nonostante
il gran numero di successi condivisi, la collaborazione tra i due partners è
stata sempre conflittuale. I loro rapporti si sono definitivamente incrinati
quando Phil Knight è venuto a sapere che la Onitsuka stava cercando un nuovo
distributore negli USA.
Nel reagire
a questa spiacevole sorpresa, Knight ha scelto di dare priorità al contenimento
dei danni. Per non rischiare di essere tagliato fuori dal mercato che, insieme
al suo allenatore aveva conquistato con importanti risultati – stiamo parlando
del 70% del mercato giapponese di scarpe di atletica in 6 anni! – Knight non ha perso tempo
a discutere le violazioni, ha cercato un nuovo fornitore e ha dato vita ad un
nuovo brand, Nike.
Come si può
facilmente intuire, la vicenda è finita davanti ad un Giudice chiamato a sentenziare
sulla violazione della clausola di esclusiva.
All’opposto rispetto
agli esempi fatti in precedenza, la Nike si è trovata coinvolta in una vicenda legata
al tema ma dall’altra parte, da venditore/distributore. Onitsuka sosteneva la
violazione del patto di non concorrenza da parte di Phil Knight, quest’ultimo
invece sosteneva la violazione di Onitsuka della clausola di esclusiva.
I Giudici
statunitensi hanno dato ragione a Knight e la Blue Ribbon Sports ha concluso un
accordo con Onitsuka per chiudere definitivamente la questione e lasciare spazio
alla, oggi celebre, Nike.
Continuiamo
a guardare avanti con voglia di espanderci e di strutturarci, ma non smettiamo
di lasciarci guidare dalle azioni concrete di chi ha fatto la storia mentre
faceva affari.
Le soluzioni
agli aspetti pratici dell’attività imprenditoriale non si possono racchiudere in
un elenco di prassi da seguire, ma necessitano di essere sempre bilanciate con
gli interessi in gioco.
Il caso
Nike, oltre a mettere un punto sulla contestata violazione della clausola di
esclusiva, è l’esempio pratico di quanto questa tipologia di clausola richieda prudenza
e consapevolezza dei processi interni all’azienda.
Esistono
diverse alternative all’esclusiva. In un sistema che mira, oggi, all’espansione
oltre continente c’è bisogno di schemi contrattuali il più flessibili e automatici
possibile, come strumenti efficienti di ausilio all’imprenditore e ai processi
interni della sua azienda, non di trappole rigide e con molte implicazioni.