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12 Ottobre 2024
La non trasferibilità del
diritto d’autore. Il caso Walt Disney.
Irene Procopio
tempo di lettura: 3 min
Quando si parla di opere
dell’ingegno creativo, invenzioni, innovazioni tecniche o di design e creazioni
artistiche bisogna partire dal presupposto che i diritti sulle opere sono duplici:
da un lato il diritto d’autore e dall’altro il copyright.
Come è noto, il mercato dell’arte
e del design si basa sull’opportunità di sfruttamento economico delle opere che
consente ad artisti, designer e creativi in genere di guadagnare dalle loro
opere anche se duplicate, riprodotte, riadattate o addirittura rivendute.
Questa prassi commerciale per anni
si è scontrata con il diritto di proprietà intellettuale e industriale, che non
consentiva di distinguere nettamente il diritto d’autore dal diritto di
esclusiva sull’opera.
Intorno agli anni ‘40 i vari Paesi
si sono adeguati e la normativa ha chiarito i dubbi distinguendo nettamente i
due diritti.
Il diritto d’autore corrisponde al
diritto di essere riconosciuto come autore dell’opera, mentre il copyright
attiene al diritto di sfruttamento economico dell’opera.
Il confronto tra i due diritti ha
suscitato vari dibattiti a causa della distinzione tra i diritti personali e
diritti patrimoniali. Per molto tempo, infatti, non è stato chiaro quale fosse
il limite tra il diritto morale dell’autore e quello materiale del
proprietario.
Il diritto d’autore come altri
diritti morali non è trasferibile. Lo stretto legame tra l’opera e l’autore fa
sì che non sia possibile disporne e quindi trasferirlo ad altri e dura fino a
70 anni in Europa, mentre 95 anni in USA.
Il copyright, invece, è
trasferibile, purché protetto secondo le modalità previste dalla legge e quindi
attraverso il deposito dell’opera, invenzione o innovazione presso gli Uffici
competenti e può essere rinnovato per un numero indeterminato di volte, sempre
secondo quanto predisposto dallo stesso Ufficio.
Nonostante sembri paradossale, il
tema che ha suscitato vari dibattiti rimane ancora irrisolto per alcuni aspetti
a distanza di quasi un secolo.
Il panorama digitale di oggi,
proprio come la stampa e il cartellonismo pubblicitario ad inizio ‘900, si
incentra su artisti e contenuti creativi e sui diversi mezzi e canali di
comunicazione che, come sappiamo, si aggiornano anche in base all’evoluzione
della tecnologia.
Se provassimo ad immaginare un
mondo senza contenuti creativi e artistici, non potremmo immedesimarci né nel
passato, tanto meno nel presente e ci auguriamo nemmeno nel futuro.
Il tema del diritto d’autore quale
diritto morale intrasferibile proprio quest’anno ritorna in auge e coinvolge,
peraltro, un’azienda che ha contribuito a plasmarne l’evoluzione.
Il caso Walt Disney.
La Walt Disney Company, la nota
multinazionale, nata come studio d’animazione nel 1923 è una dei protagonisti
di un importante movimento che ha contribuito a definire la cornice legale
applicabile al diritto d’autore.
Tra i creativi che hanno lavorato
per la Walt Disney negli anni ’30, molti erano preoccupati circa la perdita del
diritto d’autore e viste le lacune della normativa di allora sul tema, si è
reso necessario un intervento che li aiutasse a protrarre per più tempo
possibile il loro diritto morale sui personaggi che stavano per raggiungere un
successo senza precedenti.
Col “Mickey Mouse Protection Act”,
infatti, la normativa USA ha esteso la durata del diritto d’autore fino a 95
anni dopo la morte dell’autore. Ben 25 anni in più rispetto alla normativa
italiana e a quella europea.
Quest’anno, nel 2024, scadono i 95
anni di Mickey Mouse! Creato nel 1928 dallo stesso Walt Disney e da Ub Iwerks,
da gennaio il primo disegno del topolino più famoso di sempre è di pubblico
dominio.
Resteranno protette, però, tutte
le altre versioni di Mickey Mouse, tra cui quello con i pantaloncini rossi e i
guanti bianchi più familiare al pubblico di oggi.