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10 Luglio 2021
Open
Culture. Da libero a open.
Irene Procopio
tempo di lettura: 4 min
Il tema complesso della cultura “Open” può essere affrontato
secondo 3 diversi punti di vista:
1.ETICO/FILOSOFICO Come stile di vita e corrente di pensiero
2.TECNOLOGICO Standard Aperti e Accessibilità
3.GIURIDICO Licenze e Contratti Open.
L’Open Culture si fonda sui concetti di libero accesso
(all’informazione, al progetto, all’idea, al prodotto finito, al contenuto
…) e di partecipazione aperta per un obiettivo comune, che si costruisce e
raggiunge grazie al potere di tanti, una dimensione in cui la diversità diventa
forza e ricchezza.
La parola OPEN è prima di tutto un sentimento vero e
proprio. È un aggettivo che indica la partecipazione attiva di individui in
grado di superare le barriere fisiche, culturali, cognitive e politiche per
costruire qualcosa di nuovo o collaborare per far crescere un’idea in modo più
veloce, più economico e con un migliore risultato.
Bisogna, però, operare un distinguo tra il concetto purista di contenuto
libero, in cui la filosofia etica diventa imprescindibile e il concetto
più recente e dall’impronta più contaminata di contenuto open.
Negli anni ’80, lo strumento della licenza d’uso per “liberare” un’opera
creativa dal copyright nasce in ambito informatico e più precisamente in seno
al Progetto GNU, inaugurato da Richard Matthew Stallman, programmatore
informatico e attivista, tra i maggiori esponenti del movimento del software
libero. In quegli anni i governi avevano aperto la strada per il software
proprietario e il codice sorgente chiuso, in particolare quello americano, promulgando
leggi che sottoponevano i software alla tutela del copyright. Il gruppo di
hacker guidato da Stallman voleva contrastare questa deriva, con l’obiettivo
comune di rendere il software liberamente distribuibile, modificabile e
corredato da codice sorgente, da qui “software libero”. La prima traccia
giuridica del movimento, come consuetudine scritta e ideologia etico-giuridica
riconosciuta, risale a quel periodo in cui, come matrice originale di tutte le
licenze libere e open, è stato redatto il testo della prima GNU General Public
License (anche nota con l'acronimo GPL), la licenza di software libero più
utilizzata. Negli anni ‘90, l'avvento di Internet e della creatività digitale e
indipendente ha evidenziato l'esigenza di sperimentare il modello libero anche
al di là della creatività strettamente informatica. Iniziano, quindi, a
comparire le prime bozze di licenze libere per opere musicali, testuali,
grafiche e fotografiche. Lo stesso Progetto GNU predispone la Free
Documentation License (FDL) pensata per rilasciare liberamente la documentazione
informatica e successivamente utilizzata come prima licenza dell'enciclopedia
libera Wikipedia.
Il distinguo, sempre più crescente, tra il concetto di software
libero e quello di software open è tutt’ora motivo scatenante di conflitti di
approccio e tematiche etico-sociali legate all’innovazione e alla sua
governance.
Probabilmente, grazie anche allo sviluppo e alla crescita di una
coscienza giuridica popolare, la frattura nasce dal bisogno di distinguersi
rispetto alle conseguenze sociali legate alla tecnologia e all’informatica. In
particolare in ambito informatico, l’intreccio tra gli aspetti sociali e quelli
innovativi è evidente e ci consente di essere partecipi di un fenomeno, per noi
un po’ scontato, del progresso come strumento per migliorare la qualità e lo
stile delle nostre vite. L’innovazione in generale, che sia ingegneria Tech o
informatica ITC, è uno strumento di sviluppo socioeconomico della comunità.
Motivo per cui possiamo empaticamente comprendere le dinamiche e gli sviluppi
sociali del panorama innovativo.
Il termine “Open Innovation” è stato teorizzato in economia per
la prima volta nel 2003 dallo statunitense Henry Chesbrough, nel suo saggio "The era of Open Innovation".
<<L’Open Innovation è un paradigma che afferma che le
imprese possono e debbono fare ricorso a idee esterne, così come a quelle
interne, ed accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati se vogliono
progredire nelle loro competenze tecnologiche.>>
Con l’evoluzione di Internet/Web dalla versione 1.0 alla 3.0,
siamo passati dal web tradizionale a quello dei dati, fino ad internet delle
cose. Il primo vero cambiamento è stato condizionato dal bisogno di apertura
nella condivisione. Con la versione 2.0, ci si distacca dalla rete internet con
elevate barriere all’ingresso, che ostruivano e ostacolavano l’accesso al
canale web dando adito ad espedienti per monopolizzare il mercato online o
favorire mercati non legali.
Già il web 2.0, considerevolmente cresciuto numericamente in
termini di utenti, si presenta come un ambiente dove la cooperazione e la
partecipazione sono diventate un fenomeno sociale:
nel quale i partecipanti producono e distribuiscono i contenuti;
basato su una cultura di comunicazione aperta;
dove viene riconosciuta ampia libertà di condividere e
riutilizzare;
dove non esistono autorità e controllo centralizzati ma una
intelligenza collettiva non controllata.
La Open Culture può assumere diverse accezioni e non solo quella
più conosciuta e intuitiva dell’open source. Sono infatti coinvolte anche altre
componenti, partendo dal livello più basso del codice fino a un livello
avanzato di contenuto creativo.
Si distinguono diverse forme di condivisione che comprendono:
Open
source
che significa sorgente
aperta, inteso anche come sorgente di file informatici liberamente scaricabili,
fruibili e modificabili al fine di ri-migliorarne la qualità stessa.
Open access
ovvero il libero accesso a
tutti i dati delle ricerche, atti e relazioni di conferenze o dati sperimentali
utili al raggiungimento del fine comune.
Open
content
ovvero il libero accesso a
tutti quei contenuti in grado di rendere appetibile qualsiasi idea, senza
l’obbligo di dover sottostare ad un progetto o ad un mainstream che abbia lo
scopo di pilotare qualsiasi operazione, servendosi del beneficio di oscurazione
dei risultati a seguito di una rielaborazione (spesso errata) degli stessi.
Ovviamente, come in tutte le
questioni socioeconomiche, l’approccio estremista può non essere la strada
giusta per molti. Possiamo scegliere anche di immagazzinare tutte le
informazioni utili e, come un archivio, custodirle e interrogarle al momento opportuno.
Quando parliamo di innovazione,
c’è il rischio di non poter comprendere appieno gli strumenti. Allora partiamo
da lì, verso la consapevolezza anche di internet e dei dati.