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27 Novembre 2021
Etichettatura ambientale. Cosa c’è da dichiarare?
Tiziana Procopio
tempo di lettura: 4 min
Abbiamo già parlato del tema
etichetta, di quali informazioni risultino essenziali e di come uno strumento
così “piccolo” possa essere il primo documento ufficiale dell’Azienda
rispetto ai suoi consumatori.
La funzione principale dell’etichetta
è proprio la comunicazione, intesa come trasmissione di informazioni da
chi produce un prodotto a chi lo consuma.
Sino ad ora ai consumatori si
trasmettevano tutte informazioni inerenti il prodotto, nonostante esso potesse
essere confezionato o imballato in qualche modo. Con la Decisione CE 129/97 si
istituiva un sistema di identificazione per i materiali di imballaggio, ai
sensi della Direttiva CE 94/62 del Parlamento Europeo e del Consiglio sugli
imballaggi e i rifiuti di imballaggio.
Qualcosa è cambiato. Nel maggio
2021, la decisione del Decreto Sostegni ha modificato la legge n.152 del 3
aprile 2006, inerente l’applicazione in Italia della Direttiva e Decisione
europea, prorogando la commercializzazione di imballaggi senza alcuna
identificazione fino al 31 dicembre 2021.
A decorrere dall’1 gennaio
2022, infatti, entrerà in vigore e sarà pertanto obbligatorio l’utilizzo di
soli imballaggi e materiali di imballaggio con indicazione esplicita delle
caratteristiche del materiale utilizzato e come dovrà essere smaltito lo
stesso, in ogni sua componente.
Di fatto la complicazione
maggiore, a nostro parere, sarà per le aziende agroalimentari quella di gestire
le scorte ancora presenti in magazzino, mentre per le ditte produttrici di
materiali per imballaggio, la riorganizzazione delle produzioni, nonché
l’adeguamento rispetto a tutte le prove di migrazione, certificazione e scelta
dei materiali e fornitori per la programmazione delle produzioni in corso e
future.
Molte ditte produttrici hanno già
da alcuni mesi “ignorato” la proroga del decreto, sia perché già organizzate
all’adeguamento ad essa, sia perché scrupolose nel voler non scontentare il
cliente adeguandosi alla domanda già certa di lì a poco.
Molte altre, non sono ancora
informate e preparate rispetto alla variazione, o per lo meno ritengono di
poter avere ancora del tempo prima che questo comporti dei danni.
È chiaro che tutti i prodotti già
presenti sul mercato alla data dell’1 gennaio 2022, rientreranno tra i prodotti
commercializzabili senza alcun problema di sorta, essendo essenzialmente stati
prodotti entro i tempi scanditi dalla norma.
L’attenzione, soprattutto nel
settore è quella di monitoraggio delle scorte rimaste per materiali di
imballaggio e attività produttiva, senza dimenticare che l’adeguamento alla
normativa offre anche ampi spunti creativi: grafiche illustrative, informative
di ogni genere sono ben accette e soprattutto, come per ogni indicazione in
etichetta alimentare, tutto ciò che può meglio esplicitare l’informazione per
il consumatore, non può che essere un valore aggiunto per l’azienda.
Ma facciamo un passo indietro
alla domanda da cui siamo partiti: cosa c’è da dichiarare?
Per quale motivo già nel 1997 sia
stata data una direttiva comunitaria sul rifiuto e per quale motivo si sia
decisi solo oggi di renderla normativa cogente, racchiude in sè quello che è
l’iter ormai consolidato della nostra (ma anche delle altre!) giurisprudenza.
Basti pensare che ancora oggi il diritto alimentare non ha un dettaglio tale da
garantire tutta la specificità dei casi possibili, né tanto meno si adatta con
efficienza talvolta rispetto alla gestione dei requisiti di legge, per le
diverse specie coltivate, prodotte, commercializzate.
Tuttavia, il requisito essenziale
di INFORMAZIONE AL CONSUMATORE sul corretto smaltimento del rifiuto prodotto,
nonché l’indiretta richiesta di utilizzo di materiali facilmente riciclabili,
con materiali sempre più sostenibili, mette in allerta il settore rispetto alle
effettive disponibilità di materiali idonei all’adeguamento richiesto.
La disponibilità di materiali
compostabili, e la compatibilità con l’uso alimentare rispetto al contenuto di
acqua all’interno dei prodotti alimentari, alla durata della shafelife del
prodotto, mette in seria crisi il settore tutto.
Per contro, la disponibilità di
grandi quantità di scarti alimentari e le innovazioni già presenti in materia
di riutilizzo, lasciano ampio margine e grande ottimismo per la creazione di
sistemi a ciclo chiuso: dall’azienda al consumatore e di nuovo all’azienda,
senza produrre rifiuto.
La rieducazione sociale rispetto
alla creazione di un rifiuto sempre più compostabile e sostenibile ha tuttavia
da fare i conti con il concetto stesso di “rifiuto”. Le generazioni adulte dei
nostri tempi, non lo associano a un “ritorno alla terra di ciò che la terra
ha prodotto”, quanto invece al concetto di sporco, inquinato rispetto a
quanto la terra ha prodotto, pertanto SBAGLIATO.
Ecco allora, che pian piano ci
avviamo alla fase in cui non si parla più di produrre di rifiuti, ma di chiudere
un cerchio. Far sì che tutto ciò che prendiamo dalla terra, ad essa stessa
venga reso.
Questo è il primo concetto
agronomico, che a tutti noi che abbiamo studiato agraria è stato insegnato.
L’uso cosciente ed etico
dell’ambiente, il supporto alla terra, la gestione funzionale per la terra. Si
può prendere dalla terra, producendo prodotti, ma si deve sempre rendere alla
terra, senza mai impoverirla.
Ecco, dobbiamo tornare a questo.
Tramite l’obbligo di legge non si
fa altro che adempiere a ciò che in passato qualcuno ha dimenticato, e
migliorarlo, utilizzando la ricerca e l’innovazione per scegliere la direzione
giusta verso cui dirigerci.
Quale sia il costo? Alto
probabilmente, visti i danni fatti negli anni.
Cosa c’è da dichiarare? Da che
parte stare. Primi a farlo, i consumatori, da lì tutto si innesca e tutto si
realizza.
Se il consumatore è disposto a
scegliere la sostenibilità, anche la GDO e il produttore potranno sceglierla.
La catena produttiva si innesca lungo la filiera: se a valle e a monte la
scelta è univoca, il punto di incontro si trova. Si DEVE trovare. La norma, si
fa.