12 Giugno 2021

BIO O INTEGRATO? Quando un aggettivo cambia i gusti alimentari dei consumatori.

Tiziana Procopio

tempo di lettura: 4 min

Photo by Raquel Martínez on Unsplash
Tutti prima o poi durante la settimana, ci ritroviamo al momento della spesa. Non è cosa mai troppo gradita, si sa, ma c’è chi destina alla spesa familiare più tempo di altri, per approfondire i propri acquisti, scegliere eticamente e valutare prodotto per prodotto, etichetta per etichetta.
Tuttavia, le categorie di consumatori si dividono in due grosse fazioni: gli armati di pazienza e minuzia nell’approfondimento, e gli attenti a ciò che “pancia vuole”, senza fare troppo caso alle informazioni sul prodotto. Di fatto però, siamo tutti sotto il grande ombrello della qualità alimentare che la GDO ci consente di tutelare (possiamo preferire il contadino più per una questione sociale che non per le garanzie di salubrità che può offrirci, siamo onesti!).

Le informazioni esposte in supermercato sono la carta d'identità, non già fittizia quanto certa, di ciò che stiamo per acquistare, e rendono altrettanto veritiera la nostra scelta quando prendiamo il prodotto e ci accingiamo a pagarlo. Questo ci consente di conoscere ciò che acquistiamo e valutarlo da qualsiasi prospettiva: salute, etica, prezzo, ecc.

Da anni ormai siamo entrati in confidenza con il prodotto BIO. Risale al 1991 il primo Reg.CE 2092 sull’agricoltura biologica, ampliato nel 1999 anche alle produzioni animali con il Reg.CE 1804. Nel 2007 con il Reg.CE 834 sono stati abrogati i precedenti e introdotti i criteri di etichettatura prodotti a marchio, fino a giungere nel 2018 con il Reg.CE 878 e al 2021 con entrata in vigore dal 2022, per il Reg.CE 279 in cui si includono i controlli di filiera, la tracciabilità annessa, conformità delle produzioni e ovviamente, etichettatura prodotti a marchio.

Insomma, da che abbiamo memoria la definizione “BIO” ha suscitato il conforto nel consumatore tanto più di altre denominazioni di prodotto, forse anche più a tutela e garanzia di qualità (mi riferisco a DOP, IGP, DOC, ecc). Ebbene, l’avvento del BIO è stato in tutto e per tutto una novità e un piede nel nuovo pensiero di tutela ambientale e delle produzioni agroalimentari, semplicemente escludendo dalla produzione primaria (agricola ndr), quelle che sono le sostanze chimiche di sintesi utilizzate senza troppo criterio e consapevolezza fino al 1991, appunto.

È bene contestualizzare il momento in cui i prodotti agroalimentari sono diventati “BIO”. Venivamo dalla “Rivoluzione Chimica”, la soluzione di tutti i mali dopo il secondo Dopoguerra. E per quanto oggi rabbrividiamo al solo pensare, come si potesse utilizzare DDT (para[1]diclorodifeniltricloroetano, insetticida largamente usato anche in ambiente domestico) senza scheda di sicurezza o utilizzo di DPI (dispositivi di protezione individuale), questa è la storia che ci ha preceduti e il contesto in cui al consumatore, evidentemente, si doveva maggiore attenzione e cura.

L’attenzione all’uso di sostanze meno sintetiche e più “naturali” non è stato il solo vantaggio portato dal BIO. L’inizio di produzioni differenti, con maggiore attenzione alle pratiche agricole introdotte, prodotti compatibili con la denominazione ancora poco diffusi e onerosi da produrre, ridotto numero di aziende agricole aderenti alle filiere BIO, e lunghi tempi di conversione (2-3 anni prima che un terreno potesse divenire produzione BIO, a seconda dei casi, e comunque mai meno di 1 anno) dei terreni finora coltivati con altro metodo o incolti, hanno portato anche all’immissione nel mercato agroalimentare di prodotti più cari, con prezzi all’inizio molto più alti di quelli a produzione integrata. Ad oggi questa distinzione di prezzo non è più così marcata.

Un prodotto “Integrato” può avere altre caratteristiche qualitative, parimenti al Bio, e per questo pareggiare il prezzo di vendita (se non anche il costo produttivo!).

Entrando nel merito della sfida IntegratoVsBiologico, a cui oggi si affaccia ancora timorosa (e per fortuna, da tecnici del settore, vogliamo precisarlo!) l’agricoltura “Biodinamica”, vogliamo offrire anche un inquadramento seppure sintetico e riduttivo di ciò che l’Integrato costituisce.

Trattasi di produzione Integrata la produzione agricola condotta con uso coordinato e razionale di tutti i fattori della produzione alo scopo di ridurre al minimo il ricorso a mezzi tecnici che hanno impatto sull’ambiente e sula salute del consumatore.

La normativa a supporto di tale definizione è definita a livello regionale, secondo linee guida nazionali per lo più omogenee sul territorio. Ma sono le produzioni in se che possono definire il limite entro cui è più opportuno limitare le opzioni e quello in cui è lasciato spazio alle possibilità (coltivazioni in monocoltura delle regioni settentrionali e coltivazioni stagionali delle pianure centro-meridionali non possono essere certo gestite alla stessa maniera, agronomicamente parlando).

Ecco che, dal semplice confronto comincia ad evincersi che poi tanta differenza tra i due metodi produttivi, non vi è. Non esiste il demone dell’intensivo industriale laddove si segue con etica un disciplinare integrato, rispetto ad un biologico che comunque tutela le colture con trattamenti ripetuti più spesso seppur con principi attivi più blandi.

Cambia la prospettiva, il costo produttivo (in parte), e la forza commerciale di un prodotto certificato.

Quale scegliere? Non è questione di QUALITÀ. Quanto piuttosto di etica personale.

Di fatto, il rame è l'elemento chimico di numero atomico 29 e il suo simbolo è Cu.


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Tiziana Procopio

Ciao, sono Agronomo e Auditor, mi occupo di gestione aziendale in ambito agroalimentare, ma anche formazione, qualità e sicurezza.

Chiediti cosa sei chiamato a fare, e poi fallo con passione. Guidati, è meglio. 

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