1 Gennaio 2022

C’era scritto. Pesce da allevamento.

Tiziana Procopio

tempo di lettura: 5 min

Foto di ejaugsburg da Pixabay
Trattandosi di prodotti agroalimentari, volente o nolente, si fa riferimento sempre anche all’impatto ambientale e all’impronta ecologica che questi possono avere. Con piacere capita sempre più spesso di ascoltare e formare le nuove generazioni che, seppure con idee confuse, si pongono quesiti, si fanno domande e cercano in qualche modo risposte.

Questo lascia intravedere un’apertura ad un concetto di alimentazione e cultura alimentare importante, che spesso le generazioni precedenti hanno fatto finta di non guardare, lasciandoci grossi segni e impatti.

La biodiversità. 

Uno dei concetti più importanti quando si tratta di impronta ecologica e impatto ambientale, è proprio legato alla biodiversità degli ecosistemi: la combinazione e associazione di più specie, animali e vegetali, che coesistono creando e definendo un preciso ecosistema.

Si percepisce anche solo dalla definizione, quanto sia importante tutelarla.

Ebbene, sono stati aperti tanti “varchi” rispetto alla tutela della biodiversità del suolo e sono tutti in qualche modo legati alla tutela di una o più specie, al fine di preservare l’ecosistema in cui esse interagiscono, quindi la biodiversità di cui fanno parte.

La tutela delle api, per dirne una, favorisce l’intero ecosistema:

l’ape è insetto vettore per il trasporto di polline per favorire l’impollinazione di una moltitudine di specie erbacee che altrimenti non avrebbero modo di riprodursi e sopravvivere; la sopravvivenza delle specie erbacee consente a sua volta il mantenimento della biodiversità del suolo in cui sono a dimora, per favorire anche la proliferazione di altre specie animali e microrganismi, che a loro volta innescano e determinano microecosistemi per altre specie.

E così a cascata, per scongiurare l’erosione dei suoli e la desertificazione che segnerebbero la fine dell’ecosistema Terra entro cui confluiscono tutti gli altri ecosistemi.

L’acqua.

Un ambiente in cui possiamo rilevare una biodiversità, spesso sottovalutata, a cui è data poca importanza e soprattutto poca risonanza, è proprio l’ambiente marino: l’acqua.

La biodiversità dei sistemi acquatici, mari, fiumi, oceani è messa a rischio da anni, ma ciò che risuona maggiormente è l’estinzione di alcune specie, dapprima sentita solo come una perdita di specie fine a se stessa, via via col tempo, come una vera e propria conseguenza (perché lo è!) di ciò che l’impronta ecologica dell’uomo ha determinato.

Non è molto chiaro e noto ai più che esistono zone dell’oceano indiano in cui non si hanno più branchi di squali, rinomati predatori dei mari, per la presenza di grandi fonti di inquinamento che comportano la moria di pesci marini facenti parte del loro stesso ecosistema, in cui, secondo catena alimentare, l’uno determina la sopravvivenza dell’altro animale a cascata.

Non è molto chiaro anche che all’interno dell’ambiente acquatico esistono ecosistemi e una biodiversità da tutelare. Ogni specie animale e vegetale presente in acqua ha una funzione specifica a supporto dell’ecosistema di appartenenza, con una biodiversità ricca in lungo e largo.

Perché tutelare allora solo i sistemi di terra e non quelli acquatici? Come si può fare?

La tutela della biodiversità in acqua ha già degli strumenti per attuarla. Ciò che manca più di tutto è l’informazione, ma ci arriviamo in un secondo momento.

Sarà capitato a molti di recarsi in spiaggia al mattino e assistere al ritorno delle barche dei pescatori di rientro dalla pescata notturna. La quantità di pesce pescato non fa sempre pari con la quantità di pesce “vendibile” rispetto alle richieste commerciali e del mercato (come per tutti i mercati alimentari): cosa viene fatto del rimanente pesce pescato già di fatto non più vivo? Ributtato in mare, di sicuro in quantità non eguali all’uccisione singola che avrebbe determinato la fame di un unico predatore (che per antonomasia, si nutre solo quando ha fame).

Non di meno, la probabilità che tra il pescato “invendibile” della giornata, ci siano stati anche piccoli (per i più tecnici, avannotti), che non potranno così ripopolare le acque per le generazioni future.

Ecco allora che comincia a rendersi più evidente la responsabilità di noi umani rispetto alla nostra impronta ecologica, che non ricade solo nell’uso di sostanze chimiche con giudizio, ma anche nella scelta cosciente di ciò che acquistiamo e decidiamo di mangiare.

Possiamo dunque adeguarci alle esigenze del mercato e nutritive di noi umani tramite l’allevamento in acquacoltura di specie ittiche. Non per tutte è ancora possibile e si hanno strumenti tali da poterle sostenere durante tutto il ciclo vitale degli animali, ma per molte specie, che rientrano nelle nostre diete alimentari quotidiane, è l’ordinario ormai!

Eppure quando si discute della qualità di un pesce pescato vs un pesce allevato arrivano sempre commenti sull'insapidità di quelli allevati, la “stregoneria” di quelli allevati, senza poi di fatto aver magari capito o visto un allevamento ittico.

Ebbene vogliamo sfatare questo mito! Invitarvi all'informazione e alla tutela della biodiversità in acqua, al supporto delle aziende ittiche locali e non, perché si possa capire finalmente che oltre a un costo ridotto (perché se produco tutto l’anno alle stesse condizioni e non seguo stagionalità delle acque per pescare chissà dove un pesce venduto in Italia, ho dei costi molto più bassi!) si sceglie anche un sistema produttivo controllato e attenzionato in ogni piccolo dettaglio, perché se riprodurre un suolo nelle coltivazioni fuori suolo è già impresa non da poco, riprodurre le condizioni chimiche, ambientali di un ecosistema marino è l’innovazione a supporto della Terra, per sostenere e ricreare ciò che la Terra e il Mare sono, dandogli un momento di respiro, una boccata d’ossigeno perché non sia necessario “sfamare tutti di solo pescato”.

Chiediamo coscienza e conoscenza nella scelta etica per tutte le specie in commercio. Ma soprattutto, laddove la conoscenza manca, non si dia un giudizio al primo assaggio, ma si approfondisca il senso dello scegliere un pesce allevato, la cura e il rispetto dell’ambiente nel non voler sprecare il 70% del pescato solo per soddisfare l’esigenza di un mercato sempre più “esigente”, aprendosi alle innovazioni per ridurre ancora di più la nostra impronta ecologica.

Leggete l’etichetta.

Identificate la zona FAO di pesca e il pesce da allevamento.

Guidati, è meglio.


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Tiziana Procopio

Ciao, sono Agronomo e Auditor, mi occupo di gestione aziendale in ambito agroalimentare, ma anche formazione, qualità e sicurezza.

Chiediti cosa sei chiamato a fare, e poi fallo con passione. Guidati, è meglio. 

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