11 Gennaio 2025

Green claims, sì. Greenwashing, anche no.

Tiziana Procopio

tempo di lettura: 5 min

Foto di Eleonora Francesca Grotto su Unsplash
All’interno della Comunità Europea, esiste una sorta di “pacchetto” di iniziative che rappresentano la strategia di crescita dell’UE, denominato Green Deal. In particolare, le iniziative di cui tratta il Green Deal mirano alla transizione verde per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050.

In soldoni.

Il Green Deal europeo, attraverso la Direttiva 2024/825/UE sulla “Responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione”, ha apportato modifiche alla precedente normativa risalente al 2005, stabilendo l’impegno a contrastare la problematica delle asserzioni ambientali false, garantendo agli acquirenti informazioni attendibili, comparabili e facilmente verificabili.

Questo perché, oltre alla necessità di strumenti di tutela, <<ribadisce anche la necessità di consentire ai consumatori di compiere le loro scelte in base a informazioni trasparenti e attendibili sulla sostenibilità, sulla durabilità e sull’impronta di carbonio dei prodotti>>.

Consumatori.

Perché per l’attuazione di una normativa ci si rifà sul consumatore?

Per due semplici motivazioni. La prima è che il consumatore medio attuale, desidera essere maggiormente informato sugli impianti ambientali dei propri consumi, per compiere scelte migliori.

La seconda è che, oltre all’interesse del consumatore ad avviare e rafforzare sempre di più un modello di economia green e circular, il ruolo del consumatore è attivo ed efficace sul mercato!

Tuttavia, il greenwashing, ovvero la strategia di comunicazione di alcune imprese, organizzazioni o istituzioni, finalizzata alla costruzione di un’immagine di sé ingannevole e “falsamente” positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, ostacola il consumatore nel perseguire gli obiettivi di sostenibilità e induce una riduzione della fiducia nella credibilità delle asserzioni ambientali.

Questa strategia iniziò a svilupparsi negli anni ‘70:

a)    I consumatori si trovano confortati alla pratica delle asserzioni ambientali poco chiare o poco circostanziate (il 53,3% delle asserzioni ambientali fornisce informazioni vaghe, ingannevoli o infondate, da uno studio del 2020, con risultato finale che il 40% delle asserzioni non era comprovato).

b)    I consumatori si trovano sconfortati dall’uso di marchi di sostenibilità non sempre trasparenti e credibili (la proliferazione e mancanza di trasparenza, comprensione, attendibilità di loghi e marchi di sostenibilità di prodotti e servizi, per il 34% delle aziende operanti, offrono un ostacolo importante alla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde).

Più in generale, possiamo dire che la fiducia che i consumatori ripone nelle asserzioni ambientali è scarsa: le dichiarazioni ambientali rispetto al prodotto non sono accolte come credibili (1,57/4,00 nella consultazione pubblica aperta del 2020, mentre ha un leggero aumento del grado di fiducia, pur sempre basso, per le asserzioni ambientali sulle aziende (2,25/4,00 consultazione pubblica aperta del 2020).

E le imprese?

Anche dal punto di vista delle imprese, la mancanza di una omogeneità nella gestione delle dichiarazioni ambientali in etichetta, in proporzione alla dimensione, alle capacità delle stesse, crea disparità nella concorrenza.

Tanto è vero questo, che le modifiche apportate in merito alla normativa sulle asserzioni ambientali, non saranno obbligatorie, come “sistema di etichettatura ambientale” per le microimprese (che occupano meno di 10 persone e realizzano un fatturato annuo non superiore a 2 milioni di euro), pertanto esenti dagli obblighi previsti, a meno che non abbiano esplicita volontà di ricevere un certificato di conformità dell’asserzione ambientale.

Tempi e metodi.

La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale delle modifiche alla Direttiva risale al 6 marzo 2024, con entrata in vigore della Direttiva il 27 marzo 2024: attenzione, la scadenza è da intendersi per lo Stato membro dell’UE che dovrà adempiere al recepimento della norma entro il 27 marzo 2026. Entrerà poi in vigore come applicazione negli Stati membri il 27 settembre dello stesso anno.

In linea di massima all’entrata in vigore in Italia, nella fine del 2026, due sono i principi essenziali che saranno da applicare:

  • Dichiarazioni ecologiche chiare, specifiche, accurate e inequivocabili, affinchè i consumatori non siano indotti in errore (requisito di forma)

  • Documentare prove a sostegno delle relative dichiarazioni, pronte da fornire alle autorità di vigilanza competenti in modo comprensibile, in caso di contestazione (requisito di sostanza).

Le novità in definitiva saranno:

MARCHIO DI SOSTENIBILITÀ AUTODICHIARATO – non più consentito; sarà necessario esibire un marchio di sostenibilità basato su un sistema di certificazione o stabilito da autorità pubbliche.

CLAIM GENERICO – non più consentito; sarà necessario formulare un’asserzione ambientale che consenta di dimostrare l’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti all’asserzione.

AMPLIFICAZIONE DEL CLAIM – non più consentito; sarà necessario specificare l’aspetto del prodotto o di uno specifico elemento dell’attività dell’impresa che possiede le caratteristiche dell’asserzione ambientale, senza alcuna generalizzazione.

CARBON CLAIM – non più consentito; sarà necessario asserire che un prodotto ha un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di gas a effetto serra, avendo compensato le emissioni.

REQUISITI DI LEGGE – non più consentito; sarà necessario specificare che un prodotto possiede le caratteristiche dell’asserzione ambientale specificata, perché requisito di legge, e non come se fosse un tratto distintivo dell’offerta dell’impresa.

“Residuo zero”. “Nichel ok”.
In ambito alimentare due sono i claim che meritano nota: “Residuo zero” e “Nichel ok”.
Su molti prodotti ortofrutticoli soprattutto sempre più spesso troviamo indicazioni in etichetta, anche con “bollini” e marchi specifici che attirano di certo l’attenzione di un consumatore attento rispetto alla tematica ambientale, pur tuttavia trattandosi di REQUISITI DI LEGGE obbligatori, pertanto, per tutte le tipologie di prodotti della categoria.

Non è un plus che un’albicocca sia a residuo zero, quanto una necessità!

Non è un plus che un pomodoro sia nichel ok, ovvero senza nichel, quanto un obbligo di legge!

Pertanto anche quando valutiamo la scelta tra un prodotto a marchio e un prodotto senza alcun marchio, confrontiamolo piuttosto con altro prodotto e ricordiamo che, se il dubbio ci viene, magari è bene prima valutare e informarsi anche semplicemente leggendo in rete quali siano le caratteristiche di ogni asserzione ambientale sugli alimenti.

Non è consentito a nessun produttore inquinare gli alimenti destinati all’alimentazione umana, né tanto meno la presenza di metalli pesanti all’interno dei prodotti alimentari. Sarebbe una mancanza di tutela del consumatore finale, e causerebbe un danno sociale di non poca importanza!

Molto più importante, considerare che anche se tra le tante asserzioni ambientali, molti riportano il falso, c’è sempre un’autorità di vigilanza (NAS, ASL, ecc.) che supervisionano alla correttezza delle informazioni trasmesse e alla salubrità dei prodotti alimentari in commercio.

Guidati, è meglio.

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Tiziana Procopio

Ciao, sono Agronomo e Auditor, mi occupo di gestione aziendale in ambito agroalimentare, ma anche formazione, qualità e sicurezza.

Chiediti cosa sei chiamato a fare, e poi fallo con passione. Guidati, è meglio. 

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