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2 Ottobre 2021
L'utile prima di tutto. Ricavi, investimenti e guadagno, in un bilancio sostenibile.
Tiziana Procopio
tempo di lettura: 3 min
Siamo in un momento storico ricco
di occasioni di investimento, finanziamenti, fondo perduto, e chi più né più ne
metta. L’attenzione dell’imprenditore
rispetto a questa mole di bandi, che proprio in questi giorni si stanno
moltiplicando ridistribuendo le varie risorse finanziarie nazionali pubbliche e
private, è sempre rivolta alla possibilità di ottenere fondi per investire
nella propria attività, il che può solo che essere positivo e validissimo per
la comunità oltre che per l’azienda che egli amministra.
Tuttavia, nella scelta del bando,
ma soprattutto nella scelta della finalità, l’innovazione e le possibilità che
esso propone, bisogna fare una cernita valutandone pro e contro, non solo al
momento dell’investimento, ma anche e soprattutto nelle fasi ad esso
successive, quando il “peso” dell’investimento fatto sarà sostenuto solo
dall’azienda stessa.
La fortuna premia gli audaci. Sì
ma con prudenza!
Quando si sceglie di investire lo
si fa partendo da un’esigenza aziendale, un bisogno, una necessità. In quanto
tale, la necessità deriva da un vuoto da colmare e migliorare. Se l’adeguamento
a tale necessità colma il vuoto percepito, portando giovamento e ottimizzazione
all’attività aziendale, avrà anche una componente positiva rispetto ai bilanci,
alle entrate, ai costi e alle spese: tutto torna, in positivo.
Se l’investimento non è motivato
da un’esigenza, non potrà apportare novità positive all’azienda,
arrecando anzi un danno, che nel lungo periodo può divenire anche non
sostenibile dalla stessa.
Come fare per valutare
l’adeguatezza di un investimento allora?
Partendo dall’utile che da
esso può derivare.
Non è un caso che quando si parla
di valore ottenuto al netto dei costi di gestione aziendale, si parli di UTILE.
È quella componente essenziale (utile appunto!) in un’azienda perché essa sia
sostenibile.
Il pensare di portare avanti
un’azienda senza un utile, crea in essa un debito interno che si accresce al
crescere degli investimenti fatti. Pertanto quando si sceglie un investimento la
prima domanda da porsi è: quanto influisce sull’utile della mia azienda?
La meccanizzazione di un processo
produttivo, l’innovazione tecnologica per il controllo di parametri ambientali,
il potenziamento dei macchinari in dotazione, e altri possibili investimenti,
possono essere positivi e negativi al 50%.
Prima di pensare di attivare uno
di questi investimenti, che richiede un costo magari anche finanziato e non di
fatto sostenuto li per li dall’azienda, è chiaro che bisogna chiedersi se si è
pronti (come azienda s’intende!) al passo che esso ci porta a compiere. Se il
mantenimento dei consumi di una nuova linea di confezionamento, l’ultimissimo
modello di trattrice, o i sensori più innovativi del mercato, hanno dei consumi
(mantenimento, assicurazione, manutenzione, ecc) che superano le possibilità
dell’azienda in termini di spesa, allora già sappiamo che il nostro
investimento diverrà fallimentare. Non vale la pena intraprendere il percorso,
ma è forse piuttosto il caso di cominciare a modificare l’assetto aziendale
verso la direzione a cui miriamo: riduzione di altri costi non necessari,
ottimizzazione di processi produttivi e lavorazioni, ridistribuzione del
personale, e quant’altro possa servire a creare potere di spesa.
Non c’è nulla di definitivo e
nulla di categorico in una scelta imprenditoriale, è sempre una dolce virata
verso l’obiettivo.
Siamo pienamente convinti che ci
sia un talento imprenditoriale, un occhio vispo che sa dove guardare (senza
distinzione di età e tempo, sia chiaro), ma che debba essere guidato nella
migliore prospettiva per poter esprimere il massimo potenziale al momento
opportuno.
Tutti possiamo far tutto, ogni
idea imprenditoriale può diventare realtà in ogni momento, ma perché sia l’idea
giusta è necessario il talento di saper guardare oltre, di vedere l’obiettivo
verso cui mirare e saper anche dire no quando quest’obiettivo richiede uno
sforzo, una spesa, un impegno che non siamo capaci di sostenere, per scelta,
per capacità o per incapacità. Arriveremo in un secondo momento, faremo più
passi e non solo uno, perché tutto si può fare, ma le strade sono tante.
In ogni settore c’è il tecnico
giusto a darci una mano a capire quando è il momento di dire no, anche se
armati di entusiasmo e voglia di fare. E il buon consulente, a modesto nostro
parere, è anche quello che sa dire no al proprio cliente.
Siamo chiamati a tutelare gli interessi
del cliente, a fornire gli strumenti e i mezzi per virare all’obiettivo
senza sbagliare.